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Israele ha trasformato Gaza in una fossa comune per i palestinesi e i soccorritori
Di Redazione Valigia Blu
La Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) ) sta esaminando l’obbligo di Israele di facilitare gli aiuti umanitari alla popolazione palestinese a Gaza e nella Cisgiordania occupata. L’udienza durerà cinque giorni e verte su una richiesta presentata lo scorso anno dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite che ha chiesto alla Corte di chiarire gli obblighi giuridici di Israele nei confronti dell’ONU e delle sue agenzie, delle organizzazioni internazionali o degli Stati terzi per “garantire e facilitare la fornitura senza ostacoli di beni di prima necessità indispensabili alla sopravvivenza della popolazione civile palestinese”.
Il caso è stato sollevato dopo i disegni di legge israeliani dell’ottobre 2024 che vietano all’agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati palestinesi (UNRWA) di operare. Il divieto di Israele ha fatto seguito a mesi di attacchi all’agenzia da parte di Benjamin Netanyahu e dei suoi alleati di estrema destra, che hanno affermato che l’UNRWA è infiltrata da Hamas, senza però fornire prove a sostegno. L’UNRWA è il principale distributore di aiuti a Gaza e ha fornito istruzione, assistenza sanitaria e altri servizi di base a milioni di rifugiati palestinesi in tutta la regione.
Secondo l’ONU il divieto di Israele di qualsiasi cooperazione con l’UNRWA costituisce una violazione della Carta delle Nazioni Unite perché lo Stato israeliano è obbligato, in base al diritto internazionale, a garantire forniture sufficienti ai palestinesi che vivono a Gaza. Israele sostiene, invece, di rispettare il diritto internazionale e che il blocco mira a fare pressione su Hamas affinché rilasci gli ostaggi ancora in suo possesso. Le organizzazioni per i diritti umani hanno definito il blocco una “tattica per ridurre alla fame” la popolazione di Gaza e un potenziale crimine di guerra.
Il ministro degli Esteri israeliano Gideon Saar ha definito le udienze parte di una “persecuzione sistematica e delegittimazione” di Israele. Saar ha affermato che la Corte sta “diventando completamente politicizzata”, definendo il procedimento “vergognoso”.
Dall’inizio di marzo, Israele ha interrotto tutte le forniture di cibo, carburante, medicine e altri beni alla popolazione della Striscia di Gaza, composta da oltre 2 milioni di palestinesi. Si tratta del blocco più lungo nei 17 mesi di guerra a Gaza, senza alcun segnale di cessazione.
Gli operatori umanitari hanno razionato le forniture, ma avvertono che si profila un aumento catastrofico della carestia e della malnutrizione. L’ONU ha dichiarato di aver identificato 3’700 bambini affetti da malnutrizione acuta a marzo, con un aumento dell’80% rispetto a febbraio. C’è anche una crescente carenza di forniture mediche. “Tutto, dai guanti sterili ai sacchi per cadaveri, deve essere rifornito”, ha affermato il Comitato Internazionale della Croce Rossa. “Si tratta di una sfida continua e particolarmente grave: continuiamo a vedere un numero incredibilmente alto di malati, compresi pazienti gravemente feriti, che aumenta la pressione sul sistema”.
E l’impennata dei prezzi dei generi alimentari di base, la diminuzione delle scorte di forniture mediche e i drastici tagli alla distribuzione degli aiuti minacciano infatti nuove condizioni catastrofiche in tutta Gaza, avvertono i palestinesi e i funzionari degli aiuti internazionali: “Non c’è più nulla da dare, una volta esaurite le ultime scorte, le mense dovranno chiudere”, ha detto un alto funzionario delle Nazioni Unite. “Al momento la situazione è ancora sopportabile, ma sappiamo da altre crisi che quando le cose peggiorano, peggiorano molto rapidamente, e non siamo lontani da quel punto”.
Il World Food Programme ha dichiarato la scorsa settimana di aver esaurito tutte le scorte alimentari a Gaza, ponendo fine a una delle principali fonti di sostentamento per centinaia di migliaia di palestinesi presenti nel territorio devastato.
“Le leggi approvate dal parlamento israeliano contro l’UNRWA compromettono la capacità dell’agenzia di adempiere al proprio mandato. La politica di non contatto prevista dalle leggi della Knesset vieta ai funzionari israeliani di coordinarsi o comunicare con i funzionari dell’UNRWA, ostacolando la fornitura di servizi di soccorso e aiuti essenziali”, ha commentato il commissario generale dell’UNRWA, Philippe Lazzarini. “L’UNRWA e altre agenzie sono presenti nei territori palestinesi occupati per rispondere a bisogni urgenti. I servizi dell’agenzia devono continuare senza ostacoli fino a quando non sarà trovata una soluzione giusta e duratura alla difficile situazione dei rifugiati palestinesi”.
Lazzarini ha aggiunto che alcune strutture dell’UNRWA, comprese le scuole nella Gerusalemme Est occupata, sono minacciate di chiusura da parte delle autorità israeliane: “Circa 800 bambini rischiano di non poter terminare l’anno scolastico se le loro scuole saranno costrette a chiudere. In qualità di potenza occupante, lo Stato di Israele deve fornire servizi alla popolazione che occupa, o agevolarne la fornitura, anche attraverso l’UNRWA. Questa è una chiara indicazione della comunità internazionale, attraverso l’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il continuo assalto di Israele a Gaza ha privato i bambini palestinesi dell’accesso all’istruzione formale dall’ottobre 2023”.
Si stima che oltre il 95% dei 564 edifici scolastici di Gaza abbia subito danni, sotto gli incessanti attacchi israeliani alle scuole che hanno ucciso molti civili in cerca di riparo dai bombardamenti. Secondo il ministero dell’Istruzione, al 31 dicembre 2024 erano stati uccisi 12.035 studenti e 492 membri del personale scolastico. Tutte le università e i college di Gaza sarebbero stati distrutti. Nei campi profughi sono state allestite scuole tendopoli, ma non vi è alcuna garanzia di sicurezza in nessuna parte della Striscia e l’istruzione dei bambini rimane gravemente compromessa e di fatto sospesa.
“Israele sta trasformando la Palestina, in particolare Gaza, in una “fossa comune” per i palestinesi e i soccorritori”, ha dichiarato nel suo intervento Ammar Hijazi, ambasciatore palestinese nei Paesi Bassi.
Hijazi ha aggiunto che, secondo quanto riferito dal World Food Programme, il numero dei palestinesi che necessitano di aiuti alimentari nella Cisgiordania occupata è aumentato di quasi il 100%. Israele sta distruggendo i “fondamenti della vita in Palestina” mentre impedisce all’ONU e ad altre organizzazioni umanitarie di fornire “aiuti salvavita” alla popolazione, ha affermato Hijazi: “Impedire la presenza e le attività delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali deve essere considerato nel contesto dello sradicamento e dello sfollamento forzato”, ha concluso l’ambasciatore palestinese nei Paesi Bassi, spiegando che Israele ha demolito i campi profughi di Jenin e Tulkarm, sfollando con la forza più di 40’000 palestinesi.*articolo apparso sul sito valigia blu
LA POLITICA DI GUERRA VA AVANTI!
Di Redazione Karl&Rosa
Il Partito Democratico approva le politiche di guerra dell’Unione Europea. Solo due deputati votano contro: Cecilia Strada e Marco Tarquinio. Alleanza Verdi Sinistra (Avs), Movimento 5 Stelle (M5S) e la Lega esprimono voto contrario.
Ci chiediamo: con 800.000 miliardi destinati alle spese militari, pesanti tagli allo stato sociale – a partire dalla sanità pubblica, dalla scuola, dall’università e dalla ricerca, fino ai servizi pubblici locali – come possono che M5S e Avs costruire un’alternativa al governo Meloni, se il PD continua a sostenere le politiche di austerità e di guerra imposte dalla U.E. e da Draghi, che la stessa Meloni sta di fatto portando avanti in ambito economico e sociale?
Se l’unica prospettiva è l’alternanza di governo tra destra e centrosinistra, allora, NO GRAZIE!
I salari restano fermi, tra i più bassi d’Europa mentre la CGIL di Landini si piega firmando contratti che condannano le lavoratrici e i lavoratori alla precarietà. Oggi un lavoratore su quattro vive in condizione di povertà! La sanità pubblica è al collasso e sempre più famiglie non possono più permettersi le cure mediche!
UN’ALTERNATIVA NON SOLO E’ POSSIBILE, MA E’ NECESSARIA!
Presentazione del libro “Israele Palestina”
Di Redazione Karl&Rosa
Ieri, venerdì 28 Marzo, si è svolta presso la libreria Tomo in Via degli Etruschi, 4 a San Lorenzo (Roma), la prima presentazione del libro “Israele Palestina, NO al genocidio, SI alla soluzione binazionale” scritto da Nando Simeone.
L’incontro è stato introdotto da Germano Monti (attivista per i diritti umani) ed ha visto la partecipazione, oltre dell’autore Nando Simeone, del giornalista italo-siriano Fouad Rouehia e della giornalista italo-palestinese Alba Nabulsi.
Interessante il dibattito che si è sviluppato grazie agli interventi dalla sala, con una visione quasi unanime sulla necessità della “soluzione binazionale” quale unica possibilità di uscita per la drammatica situazione in cui sta vivendo il popolo Palestinese.
Gli algoritmi non hanno vita propria
Di Raul Zibechi
Le telecamere di sorveglianza con riconoscimento facciale insieme ai telefoni cellulari costruiscono un sistema di controllo dei minimi atteggiamenti di tutte le persone ovunque arrivi Internet. Il primo problema sottovalutato dell’intelligenza artificiale, al momento, non è il fatto che si trova sempre meno nelle mani degli umani, ma che si tratta di un gigantesco sistema di sorveglianza che nessun regime totalitario ha mai avuto. Inoltre, quando utilizziamo l’IA non dovremmo mai dimenticare che gli algoritmi non hanno vita propria, ma sono stati creati dal sistema per migliorare i suoi profitti, approfondendo il controllo delle nostre menti, in fondo la storia del capitalismo, pensiamo al Taylorismo e al Fordismo, è proprio questa. Una cosa è certa, dice Raúl Zibechi, “emergeranno forme di controllo nuove e più sofisticate, perché chi sta in basso trova sempre il modo di resistere e superare in astuzia chi sta in alto…”
La diffusione dell’intelligenza artificiale (AI) e la naturalizzazione dei suoi risultati non vanno di pari passo con la comprensione dei suoi meccanismi, di chi la promuove, con quali interessi e obiettivi. Se non facciamo questo esercizio, saremo vittime passive in modi che non conosciamo.
In una recente intervista, lo storico e filosofo Yuval Harari sostiene che l’intelligenza artificiale consente “una sorveglianza totale che pone fine a ogni libertà”. Egli avverte che la capacità di sorveglianza supera di gran lunga quella di qualsiasi dittatura o regime totalitario, poiché attraverso telecamere di sorveglianza con capacità di riconoscimento facciale e telefoni cellulari, si ha la capacità di controllare i minimi atteggiamenti di tutte le persone ovunque arrivi Internet.
Personalmente ho verificato che mi inviano pubblicità di prodotti o marchi di cui sto parlando con la mia famiglia e i miei amici, quasi immediatamente. Sappiamo che l’intelligenza artificiale ci consente di ascoltare qualsiasi conversazione, non importa quanto intima, e ogni movimento e comunicazione che facciamo tramite i telefoni cellulari.
Harari dice che “l’intelligenza artificiale è diversa da qualsiasi tecnologia inventata in precedenza”, perché a differenza delle tecnologie precedenti, non è nelle mani degli esseri umani né è uno strumento che deve essere attivato dalle persone, ma piuttosto “un agente indipendente” che ha la capacità di prendere le proprie decisioni “da solo”. Sostiene che nei media, che “costituiscono la base di una democrazia su larga scala”, non sono più gli editori a prendere le decisioni editoriali, ma piuttosto “sono gli algoritmi a decidere quale dovrebbe essere la storia consigliata”.
Pubblicato la La Jornada, traduzione di Comune-info.net
E ora, chi è il prossimo?
Di Daniel Tanuro
Tutti possono vedere il video dell’incredibile scena alla Casa Bianca , durante la quale Trump e Vance attaccano Zelensky, lo minacciano, lo umiliano, lo accusano di ingratitudine, guerrafondaio (“stai giocando con la Terza Guerra Mondiale”!), mancanza di rispetto e… pretendono che restituisca agli USA 500 miliardi di dollari (una cifra folle!), sotto forma di terre rare.
Non provo alcuna simpatia per il presidente ucraino, che è un politico neoliberista. Ma qui dobbiamo riconoscere in lui un certo coraggio e perfino un certo orgoglio. All’inizio della guerra aveva già rifiutato il taxi che Biden gli aveva offerto per andarsene. Questa volta è stato Trump a cui ha osato opporsi. Dopo uno scambio di battute al limite della lite, se ne andò addirittura sbattendo la porta… e senza firmare il famoso accordo sul saccheggio neocoloniale delle terre rare!
In questa vicenda delle terre rare, Zelensky può dare la colpa a se stesso. Fu lui a proporre di offrire le ricchezze minerarie ucraine agli Stati Uniti. Sperava di sedurre Trump e di ottenere un’estensione degli aiuti militari. Invece, probabilmente ha inconsapevolmente dato a Trump l’idea per un accordo diabolico: tagliare gli aiuti, aumentando così la minaccia russa… e costringere l’Ucraina a vendere la sua ricchezza… per poi condividerla con Putin. Per ora, sembra che Trump abbia mancato il bersaglio. Ma tornerà sicuramente.
Nel frattempo, coloro che da anni si sbagliano dicendo che l’Ucraina sta conducendo una guerra per procura contro la Russia, per conto degli USA e della NATO, hanno difficoltà a nascondere il fatto di non capire nulla della questione e di fare il gioco dell’imperialismo di Putin. Perché chi è il rappresentante di Washington oggi? La risposta è ovvia: il rappresentante è Putin! È su di lui che Trump conta per strangolare gli ucraini e costringerli a rinunciare alle loro ricchezze… con l’aiuto di Kim Jung-Un!
È certamente ovvio che gli Stati Uniti abbiano cercato di approfittare della resistenza ucraina per indebolire la Russia. Perché avrebbero dovuto lasciarsi sfuggire questa opportunità? Nella rivalità interimperialista tutti i mezzi sono buoni. Ma questa rivalità è allo stesso tempo una complicità tra banditi. L’intera catena di eventi successivi alla proposta di esfiltrazione di Biden dimostra che gli americani non vogliono far cadere Putin. L’Occidente, in realtà, vuole che il despota resti al potere per garantire stabilità e condividere con lui (e i suoi simili) la ricchezza mondiale sulle spalle del popolo.
Con Trump cadono le maschere. Cadono anche a sinistra. Per i teorici della cosiddetta “guerra per procura degli Stati Uniti contro la Russia”, è giunto il momento della verità. L’internazionalismo non è schierarsi dalla parte di un bandito contro un altro, in nome del “male minore”: è sempre schierarsi dalla parte degli oppressi contro gli oppressori, degli sfruttati contro gli sfruttatori, degli attaccati contro gli aggressori. Come dice lo slogan: “Dall’Ucraina alla Palestina, l’occupazione è un crimine”. “Perseverare nell’accampamento significa scegliere il sentiero che conduce alla palude rosso-marrone della memoria sinistra. Solidarietà con il popolo ucraino!
Post pubblicato sulla pagina
Facebook di Daniel Tanuro venerdì 28 febbraioSolidarietà al professor Joseph Daher, pretestuosamente licenziato dall’Università di Losanna
Di Segretariato MPS
Pubblichiamo il testo con il quale i compagni di SolidaritéS rendono conto del licenziamento di Hoseph Daher da parte dell’Università di Losanna. Un licenziamento chiaramente politico, legato evidentamente all’impegno di Daher nella lotta di sostegno al popolo palestinese ed ai movimenti di emancipazione in Medio Oriente. Invitiamo tutte e tutti a firmare la petizione di sostegno. (Red)
A seguito delle mobilitazioni studentesche a sostegno della Palestina all’Università di Losanna (Unil), la direzione pubblicava a metà gennaio un rapporto in cui concludeva che l’istituto deve sospendere gli accordi con le istituzioni universitarie israeliane colpevoli di violazione dei diritti umani. Appena due settimane dopo questo importante successo, la direzione procede a un licenziamento, quello del professor Joseph Daher.
Il 30 gennaio, la direzione dell’Unil ha annunciato il “mancato rinnovo” del contratto del professore invitato di storia contemporanea Joseph Daher, con effetto dal giorno successivo. Alcuni mesi prima, nell’ottobre 2024, era stata aperta un’indagine amministrativa contro di lui per aver prestato la sua campus card (la tessera di accesso dei membri dell’università) a una studentessa esterna durante l’occupazione studentesca dell’edificio Géopolis nel maggio 2024.
Un’indagine che alla fine non ha portato a sanzioni, ma che è stata a breve seguita dall’annuncio della sospensione del suo contratto; con l’effetto dell’annullamento all’ultimo minuto di un corso di storia contemporanea delle relazioni internazionali nel semestre primaverile 2025 e l’interruzione improvvisa della supervisione delle tesi di master di cui era responsabile.
Non appena il caso è stato reso pubblico, è arrivata una ondata di sostegno da parte di ex insegnanti e ricercatori dell’Unil e di altre università svizzere o internazionali, sindacati, ex studenti e anche da parte dei compagni di SolidaritéS, di cui Joseph Daher è stato militante per molti anni. Nell’ambiente accademico circolano petizioni per chiedere il suo reintegro. Il Consiglio della Facoltà di Scienze Sociali e Politiche dell’Unil è unanime sul caso.
La conferenza stampa organizzata dal sindacato SSP-Hautes Écoles lo scorso 20 febbraio ha attirato una folla molto numerosa. I sostenitori del professor Daher denunciano il carattere arbitrario della decisione, che sembra motivata dal suo sostegno al movimento studentesco per la Palestina, in particolare durante l’occupazione.
Pertanto, l’unica accusa avanzata nel corso dell’indagine avviata nell’ottobre 2024 lascia perplessi: se il prestito della campus card è effettivamente contrario al regolamento, diverse fonti rilevano che si tratta di una pratica comune. Questa decisione è stata presa anche in un contesto specifico: dall’autunno 2023 e dalle sue dichiarazioni che denunciano il genocidio a Gaza, Joseph Daher è stato oggetto di vergognosi attacchi mediatici diffamatori, ma classici in questo tipo di casi, accusandolo di antisemitismo, attivismo, propaganda o di essere un sobillatore.
Un’altra accusa rivolta a Joseph Daher nei media è quella di imporre il proprio punto di vista nell’ambito dei suoi insegnamenti e di mancare alla “neutralità accademica”. Un’accusa a geometria variabile che, ad esempio, non sembra applicarsi alle scuole di economia che da decenni sostengono gli effetti positivi del neoliberismo sull’economia, ma soprattutto alle prese di posizione riguardanti il crimine genocida a Gaza, denunciato in particolare dai rapporti della Corte internazionale di giustizia.
Articolo pubblicato dal sito https://mps-ti.ch/
Per una sinistra solidale, contro tutti gli imperialismi, e a fianco di tutti gli oppressi
Organizza: Sinistra per l’Ucraina
Incontro pubblico
in presenza e online, Via San Faustino,4 – Presso Coop Ortica
Milano SABATO 22 e DOMENICA 23 Marzo
Ucraina. Tre anni dopo, una riflessione sulla guerra e sulla lotta contro il fascismo
A colloquio con Anna Perekoda
In occasione del terzo anniversario dell’aggressione della Russia all’Ucraina pubblichiamo questa intervista, condotta da Francesca Barca, ad Hanna Perekhoda, storica e ricercatrice dell’Università di Losanna (Istituto di studi politici e Centro di storia internazionale e studi politici sulla globalizzazione), specializzata sul nazionalismo nel contesto della storia dell’Impero russo e dell’Unione sovietica. La sua ricerca esamina le strategie politiche dei bolscevichi in Ucraina tra il 1917 e gli anni venti. Perekhoda si occupa anche dello sviluppo, dal punto di vista storico, dell’immaginario politico russo, con particolare attenzione al ruolo dell’Ucraina nell’ideologia di stato russa. Fa anche parte di Sotsialnyi Rukh (“Movimento sociale”), un gruppo politico di sinistra fondato da militanti e sindacalisti sulla scia di Euromaidan, la rivolta del 2013-14 che ha portato alla destituzione del presidente filorusso Viktor Janukovyč.
*************************************Sono passati tre anni da quando la Russia ha lanciato l’invasione su larga scala dell’Ucraina. Cosa pensa della situazione odierna?
Con il ritorno di Donald Trump, dovrebbe essere ormai chiaro che l’impunità della Russia sta alimentando l’ascesa delle forze fasciste nei nostri paesi e viceversa. Queste forze stanno lavorando attivamente per smantellare ogni struttura internazionale che limiti le loro ambizioni. La lotta per la libertà in Ucraina è quindi intimamente legata alla lotta globale contro queste tendenze distruttive. Ma bisogna dirlo con chiarezza: le probabilità di una liberazione diminuiscono di minuto in minuto.L’ascesa di forze che uniscono autoritarismo e libertarismo negli Stati Uniti e in Europa va presa molto sul serio. La razionalità capitalista, con il suo culto della crescita illimitata e del profitto, pone quest’ultimo al di sopra di tutto: dalla vita privata alla sicurezza collettiva. In questo mondo, se non si rompe questa dinamica, l’Ucraina non avrà futuro. Ma che sia chiaro: non ci sarà futuro per nessuno.
Parte del dibattito in Occidente, soprattutto a sinistra ma non solo, si è concentrata da un lato sul pacifismo e dall’altro sul pericolo rappresentato dalle forze di estrema destra – se non neonaziste – in Ucraina. Ci può dare il suo punto di vista?
Immaginate di affacciarvi alla finestra e di vedere una persona aggredita, picchiata e violentata. Questa persona si accorge di voi e vi implora di aiutarla. Avete gli strumenti necessari per permetterle di difendersi, ma scegliete di non fare nulla, lasciandola morire. Quando si tratta di una persona, è ovvio che non intervenire equivale a incoraggiare il crimine o ad aggravarne le conseguenze. Se qualcuno giustificasse la propria inazione dicendo di essere pacifista e contro ogni forma di violenza, questa argomentazione sarebbe considerata inappropriata, per non dire assurda.
Pur non ricadendo nel penale, un simile atteggiamento di solito viene considerato profondamente immorale. Allora mi chiedo: perché questo stesso atteggiamento tutto a un tratto diventa accettabile quando la situazione passa dal livello di un individuo aggredito a quello di una società sotto attacco? Come per miracolo, il rifiuto di prestare soccorso diventa pacifismo e trova una legittimazione morale.
La realtà è che quando manca il sostegno alle vittime, gli aggressori si sentono incoraggiati. È chiaro nelle relazioni personali, all’interno delle famiglie, dei gruppi di lavoro o di qualsiasi istituzione sociale. Ma vale anche nella politica internazionale. Abbandonare al loro destino le vittime di aggressioni militari è come dire a tutti gli psicopatici in posizione di potere che ora sono liberi di ricorrere alle guerre per risolvere i loro problemi di legittimità.
L’impunità concessa a chi sostiene la legge del più forte sulla scena internazionale alimenta inevitabilmente l’ascesa di forze che difendono gli stessi principi in patria. Forze come Alternative für Deutschland (Afd) in Germania, il Rassemblement National in Francia, Donald Trump negli Stati Uniti e Vladimir Putin in Russia condividono lo stesso culto della forza bruta: in altre parole, del fascismo. In definitiva, qualsiasi aggressione, per quanto lontana, se normalizzata, ha implicazioni che prima o poi si ripercuotono su tutti noi.
L’argomentazione secondo cui la presenza dell’estrema destra in Ucraina giustificherebbe il rifiuto di inviare armi si basa su un errore di logica piuttosto lampante. Rifiutarsi di aiutare un popolo con questo pretesto significa punire un’intera società per una realtà che esiste ovunque. Sì, in Ucraina ci sono gruppi di estrema destra, come in molti altri paesi. Nelle elezioni precedenti a quelle del 2022, questi gruppi hanno ottenuto percentuali marginali e non sono riusciti a entrare in parlamento. In Francia e in Germania ci sono movimenti di estrema destra infinitamente più influenti che in Ucraina, eppure nessuno metterebbe in dubbio il loro diritto all’autodifesa in caso di aggressione. Questo atteggiamento non è piuttosto frutto del pregiudiziooccidentale di un “Est” reazionario e retrogrado, che persiste anche quando le società occidentali stesse sono alle prese con una fascistizzazione contro cui la sinistra di questi paesi sembra del tutto impotente?
Questo argomento è tanto più ipocrita se si considera che molte di queste stesse voci non esitano a sostenere movimenti di resistenza che includono attori più che problematici. Perché pretendere dall’Ucraina sotto attacco una purezza che nessun’altra società è tenuta a mostrare quando si tratta di difendersi?
È innegabile che la guerra, che dura da più di dieci anni, abbia già contribuito a rafforzare e banalizzare simboli e discorsi nazionalisti che prima non erano così rilevanti. Le guerre non rendono migliore nessuna società.
“Questo atteggiamento non è piuttosto frutto del pregiudizio occidentale di un ‘Est’ reazionario e retrogrado, che persiste anche quando le società occidentali stesse sono alle prese con una fascistizzazione contro cui la sinistra di questi paesi sembra del tutto impotente?”
Tuttavia, il rapporto tra l’invio di armi e il rafforzamento dell’estrema destra in Ucraina è inversamente proporzionale. Le armi servono innanzitutto a difendere la società nel suo complesso da un esercito invasore. La vittoria dell’Ucraina garantisce l’esistenza stessa di uno stato in cui i cittadini possono scegliere il proprio futuro in modo democratico. Al contrario, nulla rafforza i movimenti di estrema destra o le organizzazioni terroristiche più dell’occupazione militare e dell’oppressione sistematica che ne consegue.
Infatti, se l’Ucraina ottiene la pace alle condizioni russe – la pace delle tombe – è più che probabile che i gruppi radicali, che capitalizzeranno la frustrazione e il senso di ingiustizia, si rafforzeranno rapidamente a scapito degli attori moderati.
Il ruolo delle lingue (ucraino e russo) è molto importante per comprendere i dibattiti (spesso artificiali) e le polemiche. Può aiutarci a meglio definire la questione?
È effettivamente utile collocare la questione nel suo contesto storico. Fin dal XIX secolo, lo stato russo ha cercato di emarginare la lingua ucraina presentandola come una forma inferiore di russo. Le élite russe ritenevano che il riconoscimento di una lingua ucraina a sé stante minacciasse l’unità del loro stato nazionale in costruzione. Sotto l’Unione sovietica, il russo era stato imposto come l’unica lingua legittima della modernità e del progresso. Dopo l’indipendenza ucraina [nel 1991], questa gerarchia linguistica è rimasta.
Fino al 2014, parlare ucraino nelle grandi città era malvisto, mentre il russo continuava a essere ammantato di un prestigio superiore. Per gli ucraini, quindi, la promozione dell’ucraino nello spazio pubblico non è un attacco ai russofoni, ma un tentativo di correggere secoli di emarginazione. Considerare tutto ciò come prova di un nazionalismo aggressivo significa ignorare il contesto (post-)imperiale che sottende queste dinamiche, un contesto spesso invisibile a chi appartiene a nazioni storicamente imperialiste e non a gruppi culturalmente oppressi.
Quindi la questione della lingua è strumentalizzata?
Sì, ciò che è importante considerare è il modo in cui la Russia ha usato la questione linguistica per legittimare la sua aggressione contro l’Ucraina. Nel 2014, al momento dell’annessione della Crimea e dell’inizio della guerra nel Donbass, il Cremlino ha giustificato le sue azioni sostenendo di voler proteggere la popolazione russofona, presunta vittima di un “genocidio linguistico”. Se prima, nel quotidiano, l’ucraino e il russo coesistevano in modo abbastanza pacifico, l’uso delle questioni linguistiche come arma di manipolazione politica ha esacerbato le divisioni.
È fondamentale ricordare che parlare russo in Ucraina non significa essere filo-russi o appoggiare il Cremlino. Dovremmo evitare di ripetere pedissequamente la narrativa della propaganda russa, che fa di tutto per legittimare l’attacco alla sovranità degli stati democratici vicini.
Solo con l’aggressione russa del 2014 lo stato ucraino ha rotto lo status quo di relativo non intervento nelle questioni linguistiche. Nel 2018, il Parlamento ha approvato una legge che impone l’uso dell’ucraino nella maggior parte degli aspetti della vita pubblica, obbligando i funzionari pubblici e le persone che lavorano nella sfera pubblica a conoscerlo e a usarlo nelle loro comunicazioni.
L’ucraino è diventato obbligatorio nelle scuole. Questo non ha necessariamente portato a cambiamenti radicali: molte persone utilizzavano sia l’ucraino che il russo nella loro vita quotidiana, per non parlare di chi parlava un misto dei due. La realtà dell’Ucraina è quella della porosità linguistica.
La guerra e le atrocità commesse dai russi hanno portato molti ucraini a parlare solamente ucraino e a guardare con sospetto chi continua a parlare “la lingua dell’occupante”. Non è raro che i sopravvissuti russofoni ai bombardamenti siano accusati di mancanza di patriottismo dai residenti di lingua ucraina delle città lontane dai combattimenti. Il rifiuto radicale della lingua russa, inesistente nel 2014 ma brandito da Putin per legittimare l’aggressione militare, a distanza di dieci anni è diventato una profezia che si è autoavverata.
“Quello non sempre chiaro in Europa occidentale, è che in Europa orientale l‘Ue rappresenta un‘alternativa a un modello autoritario e oppressivo, un modello che la Russia impone con la forza ai suoi vicini”
Per i russofoni d’Ucraina, il problema è che lo stato che dice di voler proteggere la loro lingua la usa per diffondere narrazioni che negano il diritto all’esistenza dell’Ucraina. Al momento, i russofoni non hanno dei portavoce in grado di articolare la loro esperienza senza sfruttarla a fini politici. Se la Russia non sfruttasse la lingua e la cultura come strumenti di espansione, e se la presenza di una popolazione russofona non fosse stata usata per giustificare una dominazione politica e poi l’invasione militare, la coesistenza delle due lingue probabilmente porrebbe pochi problemi.
Allo stesso tempo, aggiungo, l’autoproclamata élite intellettuale ucraina si sta dimostrando particolarmente arretrata e francamente ridicola, perché costruisce l’identità nazionale secondo le ricette del XIX secolo. In realtà, è impossibile richiudere la popolazione ucraina contemporanea in uno dei due sistemi oscurantisti che le vengono proposti: il nazionalismo etnolinguistico ucraino da un lato, e il nazionalismo imperiale russo dall’altro.
Prima del 2022, esisteva ancora la possibilità di costruire in Ucraina una cultura russofona alternativa, non infettata dall’immaginario imperiale russo e indipendente dalle priorità politiche dello stato russo. L’invasione ha reso questo progetto completamente impossibile.
Putin ne sarà probabilmente contento, perché il suo timore principale non è che l’Ucraina tagli tutti i legami con i russi, bensì che l’Ucraina condivida la loro lingua, ma che sviluppi un solido sistema politico democratico, “infettando” i russi con il virus della libertà.
L’Unione europea è spesso percepita come “superata” nel migliore dei casi, se non “neoliberale” e “antidemocratica” dalla sinistra e dagli attivisti dell’Europa occidentale; in Europa orientale, invece, che si tratti di Moldova, Romania, Ucraina o Georgia, i cittadini si mobilitano dietro questa idea… Come si spiega questa differenza? Cosa rappresenta l’Ue nell’est del continente? E in particolare in Ucraina?
Dall’interno l’Ue può essere vista come un progetto in cui le logiche di mercato hanno la precedenza sulla giustizia sociale, in cui le decisioni sono spesso prese a porte chiuse e in cui gli interessi di grandi potenze economiche come la Germania impongono le loro priorità. In questo contesto, non sorprende che alcuni vedano l’Ue come un ostacolo di cui liberarsi.
Ma per i paesi europei non appartenenti all’Ue, e in particolare per l’Ucraina, incarna qualcosa di diverso. “L’Europa” è soprattutto un’aspirazione, un’idea di futuro in cui prevalgono lo stato di diritto, le libertà individuali e un certo livello di prosperità. Quello non sempre chiaro in Europa occidentale, è che qui l’Ue rappresenta un’alternativa a un modello autoritario e oppressivo, un modello che la Russia impone con la forza ai suoi vicini.
Per i cittadini dell’Ue, l’Unione è innanzitutto un progetto economico. Per chi non ne fa parte, invece, è in primo luogo un progetto culturale e di civiltà. Che la ammirino o la odino, i suoi sostenitori e i suoi detrattori al di fuori dell’Unione la considerano una forza innanzitutto politica. La Russia, del resto, è esplicita da questo punto di vista: almeno dal 2013 tratta l’Ue non come un concorrente economico, ma come un rivale geopolitico e ideologico.
Questa dimensione è diventata ancora più evidente nel 2014, con l’Euromaidan, quando gli ucraini hanno letteralmente dato la vita per difendere il futuro “europeo” del proprio paese. È stato un atto che molti europei non hanno compreso, o hanno addirittura guardato con condiscendenza o pena. Eppure, per questi manifestanti, “l’Europa” non era un’area economica, ma un simbolo di dignità e libertà.
Gli europei faticano a riconoscere che dietro l’idea di un’Europa politicamente unita c’è davvero della sostanza, perché appare screditata dalle sue politiche neoliberiste. Tuttavia, come ogni progetto nato dalla modernità, l’Unione europea porta dentro di sé tendenze contraddittorie. Per usare le parole del filosofo ed economista Cornelius Castoriadis, essaporta in sé sia l’espansione illimitata del controllo razionale del mondo, che si manifesta nel neoliberismo, sia il potenziale di autonomia e apertura politica che assume la forma della democrazia.
Quale tendenza prevarrà? Dipende dalle forze politiche che investiranno in questo progetto. Certo è, però, che se, pur combattendo legittimamente le politiche neoliberiste dell’Ue, abbandoniamo anche l’idea di un’Europa politicamente unita, buttiamo via il bambino con l’acqua sporca. Mentre l’Europa si cullava nel sogno di una pace post-nazionale, di una prosperità basata sugli idrocarburi russi e le merci cinesi, le élite di questi paesi accumulavano eserciti, risorse e, soprattutto, risentimento.
E questo risentimento è rivolto proprio all’immaginario democratico dell’Europa, non al suo liberalismo economico.
Può sembrare paradossale…
Questo paradosso è tristemente logico: il potenziale democratico del progetto europeo sembra più evidente da fuori. È un po’ come i vaccini: più sono efficaci, più vengono denigrati. In un paese dove i vaccini sono appena arrivati, dove è ancora alto il tasso di bambini che muoiono di poliomielite, un movimento anti-vaccinazione risulterebbe assurdo. Allo stesso modo, gli europei che abbandonano così facilmente l’idea dell’unità europea appaiono ingenui agli occhi di quanti stanno combattendo un esercito deciso a distruggerli.
Detto questo, gli attivisti ucraini di sinistra non si lasciano ingannare dalle realtà economiche dell’Europa. Hanno osservato attentamente ciò che è accaduto in Grecia, per esempio. Ma bisogna capire che l’Ucraina è già un paese fortemente neoliberista, con élite predatorie e un diritto del lavoro precario.
In alcuni settori, la legislazione europea potrebbe effettivamente smantellare ciò che resta delle protezioni sociali. In altri, invece, potrebbe introdurre standard e regole inesistenti in questo capitalismo selvaggio. Non ci sono quindi risposte facili.
In ogni caso, per la stragrande maggioranza degli ucraini, i dettagli contano poco. “L’Europa” rappresenta una promessa di giustizia, democrazia ed emancipazione. Di fronte all’abisso dell’occupazione russa, gli ucraini – come i georgiani – si aggrappano all’unica alternativa di unità politica che offre il continente.
*articolo apparso su voxeurop il 12 febbraio 2025
Il Refrattario e Controcorrente 18 febbraio 2025
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Resti di Gaza – Mostra dell’artista Yasmine Al Jarba
Evento di Cultura è libertà
Galleria Moroni Uno Art Vicolo Moroni 1 Roma Trastevere
Venite a conoscere questa bella mostra e il lavoro della sua autrice, Yasmine al Jarba di Gaza. Speriamo di incontrarci in tantə il 21 per l’inaugurazione con la presenza dell’artista. Ecco il suo
INVITO
Vi invito alla mia mostra personale, “Resti di Gaza”, che si terrà a Roma il 21 febbraio 2025 presso la galleria MORONI1, in Vicolo Moroni 1 (Trastevere).
Attraverso le mie opere, desidero condividere le storie di sofferenza e speranza del popolo palestinese a Gaza.
Sarei molto contenta di incontrarci lì per condividere insieme questo momento speciale.