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Intervista a cura di Simone Gavazzi
Dallo scorso 8 dicembre, giorno della caduta del governo di Assad in Siria per mano di Hayat Tahrir al-Sham (HTS) e del suo leader Al-Jawlani, ora noto come Al-Shanaa, si potrebbe pensare che il Paese sia finalmente avviato verso un periodo di pace. Tuttavia, è ancora troppo presto per dirlo. Ciò che invece è già evidente è l’intensificarsi degli attacchi nella regione del nord-est della Siria (Rojava) da parte di milizie affiliate alla Turchia. Queste forze hanno inizialmente conquistato la città di Manbij e i villaggi circostanti e, da allora, supportati dall’artiglieria e dall’aeronautica turca, continuano a colpire altre aree strategiche, in particolare in distretto di Kobane e la zona della diga di Tishreen.
Il Rojava è difeso dalle SDF (Syrian Democratic Forces) composte principalmente dall’Unità di Protezione del Popolo (YPG) e dall’Unità di Protezione delle Donne (YPJ). Le Forze Democratiche Siriane sono il braccio armato dell’Autonomia Democratica della Siria del Nord e dell’Est (AANES), entità politica fortemente influenzata dall’Unione Democratica (PYD), il principale partito curdo della regione, ideologicamente vicino al Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK). La Turchia considera le YPG e le YPJ come estensioni dirette di quest’ultimo e quindi come gruppi terroristici – gli Usa, l’Ue e gran parte della comunità internazionale no, al punto da elogiare il loro ruolo cruciale nella lotta contro l’ISIS in Siria.
In uno scenario in costante evoluzione e in cui sembrano cambiare i confini del dialogo con le autorità ad Ankara, abbiamo intervistato Nesrin Abdallah, comandante e portavoce delle YPJ, che ogni giorno combatte in prima linea per difendere il sogno del Confederalismo Democratico. Si evidenzia come centrale nell’analisi del movimento sia il concetto di Jineoloji (dal curdo Jin = donna e lojî = scienza) che nasce come una risposta alla mancanza di una scienza sociale che metta al centro le donne, la loro storia e il loro ruolo nella società. Secondo la Jineoloji, la liberazione della donna è essenziale per la decostruzione della narrativa patriarcale e per la liberazione dell’intera società.
Innanzitutto, rivolgo un saluto a tutte le donne che hanno sacrificato la propria vita per la libertà e a tutte coloro che continuano a lottare per l’emancipazione femminile e per la libertà dell’umanità. Oggi, la rivoluzione Jin, Jiyan, Azadî – “Donna, Vita, Libertà” – ha trovato eco nel confederalismo femminile e si è diffusa in tutto il mondo. Portando la rivoluzione delle donne sempre più vicina al successo.
Nel sistema del confederalismo democratico il ruolo delle donne è fondamentale e noi, come Unità di Protezione delle Donne (YPJ), siamo una forza decisiva, centrale, in questo modello. E crediamo che le donne debbano rafforzare ulteriormente la loro unità e la loro azione comune.
Oggi, la lotta guidata dalle donne non si limita alla loro emancipazione, ma punta alla costruzione di una nuova società, di una nuova era fondata sulla democrazia e sulla piena libertà. Un cambiamento che dovrebbe dare forma a un nuovo ordine globale, caratterizzato dalla forza e dalla presenza delle donne.
Il mondo oggi è in fiamme, travolto da guerre, distruzione e sofferenza. Come sempre, a pagarne il prezzo più alto sono i civili: siamo di fronte a un vero e proprio sterminio dei popoli. Se osserviamo attentamente, tutto questo avviene in modo sistematico ed è il risultato di un sistema basato sul dominio maschile. Per questo, il momento storico che stiamo vivendo ci impone di agire con urgenza e di rispondere alle necessità di questa epoca. La libertà non è qualcosa che ti viene data, ma per ottenerla devi impegnarti e lottare. Quindi, è necessario che le donne creino una rete di lotta comune.
Sono stati ottenuti molti risultati per le donne, tra cui la rivoluzione “Donna, Vita, Libertà” che è diventata lo slogan principale nel mondo, in cui tutti si sono riconosciuti. Non solo le donne, ma anche molti uomini sono entrati a far parte della rivoluzione. Perché capire la filosofia di “Donna, Vita, Libertà” libera anche gli uomini.
Accanto a questi risultati e progressi, devono essere visti anche i pericoli: le donne vengono uccise, si tenta di distruggere i risultati e frammentare le organizzazioni, cercando di porre tutti i risultati sotto il potere patriarcale e deviare la rivoluzione delle donne. Le donne devono essere consapevoli e affrontare questi piani pericolosi, per questo la donna ha bisogno di un sistema di autoprotezione. La donna ora ha raggiunto un livello in cui è avanzata praticamente e ideologicamente per vedere queste verità e deve educarsi e organizzarsi sulla base di esse.
L’obiettivo del confederalismo femminile si allinea con tutti gli obiettivi delle donne in tutti i campi, le ha dato un compito principale. Alla fine, la pace mondiale sarà costruita solo per mano delle donne, e il confederalismo democratico femminile globale si opporrà al sistema capitalistico che ha messo le mani su tutto. In modo così sottile che non ce ne si accorge, rifiutando tutto di sé stessi, al punto che la stessa esistenza non è importante.
Il sistema capitalistico è così: ti uccide, compie genocidi, ti rende persino senza identità, ma non te ne rendi conto. Quindi, le donne devono essere consapevoli e sapere che non c’è nessuno su cui può fare affidamento per garantire la tua libertà. Al contrario, la libertà delle donne si ottiene solo attraverso la lotta delle donne.
Oggi le donne hanno raggiunto un livello in cui possono assumersi questa responsabilità, gestirsi autonomamente in ogni ambito, e ne abbiamo molti esempi, tra cui le YPJ, che da anni portano avanti una lotta per l’autodifesa. Le YPJ sono diventate una forza capace di costruire una rete comune al proprio interno, rafforzando la sororità femminile e dando alle donne la fiducia nella propria forza, nelle proprie capacità e nel proprio pensiero. All’interno delle YPJ, le donne combattono affermando la loro identità, lingua e cultura. Oggi, donne arabe, circasse, siriane, curde e appartenenti a tutte le componenti della Siria lottano fianco a fianco nelle YPJ. Questa esperienza può diventare un modello a livello globale e, nel quadro del confederalismo democratico femminile, contribuire a creare una forza ampia e unita.
Ogni organizzazione militare e di difesa si fonda su un’ideologia, e le due cose non possono essere separate. Se guardiamo all’ultimo secolo, ogni Paese ha costruito le proprie forze armate all’interno di un determinato sistema ideologico. Gli eserciti statali sono stati istituiti nel quadro del sistema di potere e il loro obiettivo non è la difesa dei popoli, ma la protezione di quel sistema stesso. Poiché l’ideologia dello Stato non coincide con l’ideologia dei popoli, il fine ultimo di questi eserciti è la sottomissione della popolazione, proprio come un lavoratore è subordinato al padrone nella propria azienda.
Se osserviamo la storia, ogni volta che i popoli si sono sollevati contro quel sistema o si sono ribellati, gli eserciti sono stati immediatamente impiegati per reprimerli, arrivando persino a ucciderli. Abbiamo visto esempi di questo in diversi Paesi, la Siria non fa eccezione. Il regime Ba’ath, ad esempio, chiamava il proprio esercito “Esercito Nazionale Siriano”. Sebbene composto dai figli di quel popolo, è stato trasformato in una macchina da guerra contro le loro stesse madri, sorelle, fratelli, padri e famiglie. Questo è il modello degli eserciti statali in tutto il mondo, uno strumento contro il popolo per difendere il sistema di potere.
Era una realtà di cui eravamo consapevoli ed è proprio questa consapevolezza che ci ha spinto a creare una forza opposta all’ideologia degli Stati di potere. Per questo, abbiamo fondato le nostre forze militari sulla base di un’ideologia di difesa dei popoli, che rappresenta pienamente tutte le componenti della società. Nel nostro primo congresso, tenutosi il 4 aprile 2013, abbiamo adottato come principio fondamentale l’ideologia della libertà e dell’emancipazione delle donne. In quell’occasione, dichiarammo che se tutte le forze del mondo si unissero, noi non attaccheremmo nessuno. Ma se tutte le forze del mondo si unissero per attaccarci, lotteremmo per difenderci.
Un altro punto fondamentale emerso dal primo congresso è stata la creazione di decine di accademie dedicate alla formazione. Ogni membro delle YPJ deve seguire questi corsi. Non solo in fase iniziale, ma in modo costante, ripetendo cicli di formazione che riguardano il pensiero, la filosofia e l’addestramento militare. L’educazione è diventata il nostro pilastro centrale. Il risultato è che oggi migliaia di donne combattono all’interno delle YPJ per la giustizia sociale e la libertà femminile.
Se prendiamo in esame qualsiasi sistema, sia in Medio Oriente che nei Paesi occidentali, a mio parere non c’è una reale differenza. Alcuni sistemi si considerano progressisti, mentre altri si basano sulla religione, ma in entrambi si manifestano ostilità, negazione e rifiuto delle donne. Il sistema degli Stati occidentali strumentalizza le donne, sfruttandone l’energia a proprio vantaggio. Lo Stato vuole la loro mente, il loro corpo, il loro intelletto, tutte le loro capacità. Al punto da frammentarle e attribuire un prezzo a ogni singola parte. Alla fine, l’intera esistenza della donna viene utilizzata per servire il sistema, che poi la sottomette completamente.
Basta guardare i Paesi considerati “sviluppati”: ancora oggi esistono disuguaglianze di genere. Un esempio è la discriminazione salariale tra uomini e donne, con queste ultime che continuano a percepire stipendi inferiori a parità di lavoro. Spesso si vedono donne ricoprire ruoli di leadership o presidenziali, ma le loro capacità e intelligenza vengono comunque messe al servizio degli uomini. Alla fine, il sistema afferma: “Guardate, abbiamo dato diritti alle donne”, presentando questo come un atto di libertà. Le donne devono essere consapevoli di questa dinamica.
Se guardiamo al sistema del Medio Oriente, la schiavitù femminile assume un’altra forma. Qui, più una donna aderisce alla religione e alle regole imposte, più viene considerata una “buona donna”. Sotto il nome della morale e della religione, le donne vengono sfruttate e rese schiave.
Siamo nel XXI secolo, eppure vediamo ancora donne coperte da veli neri, dietro ai quali si cela un’ideologia che le priva di tutti i loro diritti, nega la loro intelligenza e persino la loro esistenza. Nel sistema mediorientale, il ruolo della donna si riduce esclusivamente alla maternità. Vengono trasformate in fabbriche di figli, private di qualsiasi altra funzione sociale. Sono costrette a servire l’uomo in ogni aspetto, in un sistema che le annienta. Entrambi i sistemi, occidentale e mediorientale, uccidono le donne, anche se in modi diversi.
Uno degli obiettivi fondamentali della nostra lotta, che portiamo avanti da anni, è il recupero dell’identità femminile, affinché le donne possano riappropriarsi dei propri diritti, delle proprie decisioni e della propria volontà. Il regime Ba’ath in Siria è stato uno di questi sistemi oppressivi e, ancora oggi, nella Costituzione siriana non esiste un vero riconoscimento dei diritti delle donne. Il sistema continua a trattarle attraverso le leggi della Sharia e della religione.
L’attuale governo siriano, guidato da Al-Jawlani, rappresenta un grave pericolo per le donne. Il timore è che possa trasformare la Siria in un nuovo Afghanistan, privandole di ogni diritto e libertà. Non vediamo alcun segnale di cambiamento, ed è fondamentale che le persone comprendano la gravità di questa situazione.
Negli ultimi 13 anni, grazie a lotte incessanti e a grandi sacrifici, sono stati ottenuti importanti risultati. Ma con il crollo del regime cinquantennale del partito Ba’ath in Siria, è necessario un esame attento della situazione, in cui si intravedono sia grandi opportunità che gravi rischi. Tra queste opportunità, il popolo siriano ha la possibilità di realizzare gli obiettivi della propria rivoluzione. Ovvero la costruzione di un sistema democratico ed ecologico, che garantisca piena libertà alle donne e includa i diritti di tutte le componenti della società siriana.
In particolare dopo il 2014, con l’istituzione dell’Amministrazione Autonoma, si è dimostrato che il popolo siriano è in grado di vivere al di fuori del tradizionale sistema statale. Le diverse comunità della regione convivono sotto l’ombrello dell’autogoverno, gestendosi autonomamente sul piano economico, politico, militare e culturale, in un sistema in cui ogni individuo può vivere nella propria lingua, religione e identità nazionale.
Questa esperienza ha permesso di sviluppare un modello confederale, che in futuro potrebbe estendersi a tutta la Siria. Dopo questo percorso, l’idea di un sistema basato su una sola bandiera, una sola lingua e una sola nazione non è più accettabile, perché la rivoluzione stessa è nata in opposizione a quel modello.Ma accanto a questi successi, permangono anche gravi rischi.
Ciò che il regime attuale sta facendo a Damasco va contro tutti gli ideali per cui il popolo si è sollevato. Il progetto portato avanti dal Fronte Al-Nusra o Tahrir al-Sham, sotto la guida di Al-Jawlani, mira all’istituzione di un sistema religioso, che non è accettabile. La società siriana non può essere governata da un’unica religione. Nemmeno durante l’era del Ba’ath la Siria era un paese monoreligioso. All’epoca, le persone di diverse fedi si riunivano, partecipavano alle festività e condividevano momenti di celebrazione.
Il problema della Siria non è la religione e non può essere risolto attraverso la religione. Tutte le fedi sono religioni di Dio. Perché rifiutare qualsiasi religione che non sia l’Islam? Perché definire la libertà, persino l’abbigliamento, solo all’interno dei dettami dell’Islam? Questo non è più accettabile.
Questi sviluppi rappresentano un ritorno al passato, e vediamo chiaramente che le donne sono diventate il principale bersaglio di questa regressione. Si impone loro di coprirsi interamente, di non essere viste né ascoltate, di rimanere confinate in casa. Ma questo non è l’obiettivo per cui le donne hanno lottato e sacrificato le loro vite. Abbiamo dato molti martiri per questa causa e non permetteremo che tutto venga cancellato.
Per questo, come YPJ, ci opponiamo fermamente a questo sistema e a questa mentalità e continueremo la nostra lotta. La nostra ideologia e la nostra linea sono chiare: la libertà delle donne, e non faremo nemmeno un passo indietro. Non accettiamo che nessuno decida il nostro destino. Come YPJ, combattiamo per una Siria democratica e libera. Il nostro obiettivo è che le donne siano protagoniste e partecipino attivamente in ogni ambito decisionale, incluso quello militare. Le YPJ restano ferme su questi principi e continueranno a difenderli.
A livello globale, e in particolare in Europa, da anni portiamo avanti una lotta diplomatica, instaurando buone relazioni sia con i popoli europei che con organizzazioni e governi. Tra questi, il popolo italiano si è rivelato un alleato importante. La nostra lotta non riguarda solo le donne di questa regione, ma tutte le donne e i popoli del mondo.
Sul tema, c’è un aspetto che merita attenzione. Esistono numerose organizzazioni internazionali che operano sotto il nome di diritti umani, ma in realtà non sono diventate un sostegno concreto ed efficace per le donne e per i popoli del nord e dell’est della Siria. Per questo, non possiamo fare totale affidamento su di loro. Non mi riferisco ai singoli governi, perché alla fine ogni sistema lavora per i propri interessi. Non considero nessuno un nemico permanente, così come nessuno può essere un alleato costante. Quindi, non esprimo una valutazione definitiva su questo.
Negli anni passati, abbiamo combattuto una grande battaglia contro il terrorismo. Sul piano interno, sono stati fatti diversi tentativi di dialogo e incontri diplomatici con Damasco, ma abbiamo constatato che il governo siriano non ha alcuna iniziativa né reali intenzioni democratiche.
Quello che voglio sottolineare è che il sostegno esterno è fondamentale. Abbiamo bisogno di un supporto attivo e concreto, perché questa lotta non è solo nostra, ma riguarda tutte le donne e tutti i popoli. Esiste una risoluzione internazionale di sicurezza, la 1325, che garantisce la protezione dei diritti delle donne e che dovrebbe essere applicata con coerenza, in particolare a favore delle donne curde, che sono già prese di mira e uccise dallo Stato turco. Per questo motivo, è necessaria una presa di posizione chiara contro la Turchia.
Gli attacchi turchi al nord della Siria mirano a distrarre le donne dalla lotta per la loro protezione e impedire loro di avere un ruolo nella costruzione della nuova Siria. Allo stesso tempo, colpiscono tutti i popoli della regione, con l’obiettivo di cancellare il popolo curdo. Per questo, chiedo che i Paesi e le istituzioni europee offrano un sostegno maggiore e più concreto alla rivoluzione delle donne e all’Amministrazione Autonoma del nord e dell’est della Siria. L’obiettivo principale della Turchia è occupare questi territori, presentando il conflitto come una semplice ostilità turco-curda, quando in realtà si tratta di un attacco a un modello di convivenza e di democrazia. In questo contesto il sostegno internazionale è essenziale. Non solo per contrastare l’aggressione turca, ma per costruire una Siria democratica, in cui i popoli possano vivere insieme in pace.
Dal sito lospiegone.com