Edizioni Karl&Rosa

A spasso con Bruno nel Secolo Breve – recensione del libro “L’arte popolare” di Bruno De Angelis

A spasso con Bruno nel Secolo Breve – recensione del libro “L’arte popolare” di Bruno De Angelis

Di Francesco Tranfaglia

Quando mi capita di riflettere su quel periodo storico di circa 75 anni che intercorre tra la Prima Guerra Mondiale e la Caduta del Muro di Berlino, che lo storico Hobwsbawn ha definito assai felicemente il Secolo Breve, coi suoi sconvolgimenti, le sue tragedie, le sue rivoluzioni, i grandi orrori e le incredibili speranze, mi viene da chiedermi cosa facevano, cosa pensavano, cosa provavano le persone comuni, quelle che fanno la storia ma non finiscono sui libri di storia.

Accade che qualche risposta a domande di questo genere le si possa trovare su un quadernetto recuperato in un cassetto, vergato a mano poesia dopo poesia, racconto dopo racconto, anno dopo anno, da un figlio, amico, soldato, lavoratore, marito, padre e infine nonno. È questo il caso del libro che il figlio di Bruno De Angelis ha recuperato nel cassetto del padre. Ce lo propone aggiungendovi una cornice narrativa e immagini accattivanti.

Quello che prima di tutto colpisce leggendo le righe di questo libricino è il senso di leggerezza di spirito associata a una grande intensità di sentimenti. A dare questa impressione contribuisce sicuramente l’alternarsi delle rime ai racconti brevi, dei temi lievi a quelli più impegnativi, e soprattutto del romanesco all’italiano. Un romanesco leggero, colloquiale, che trasmette un’ironia sempre priva di malanimo.

Seguiamo Bruno nel suo percorso nel Secolo Breve. Lo incontriamo in una caserma, chissà se in attesa di partire per il fronte. Ci racconta la visita della madre, che ha il sapore di un ultimo incontro. Nel dialogo pudico riecheggia l’immutabile dei rapporti madri/figli che passa sempre per la preoccupazione delle prime per la qualità e la quantità del cibo.

Lo ritroviamo qualche decennio dopo, lavoratore dell’epoca fordista, con le sue precise scansioni tempo di lavoro/tempo di riposo, raccontare sia l’alienazione dell’ufficio sia la liberazione delle vacanze. Oggi che viviamo sospesi tra un’eterna vacanza e la reperibilità senza orari, non possiamo che provare un po’ di invidia per chi timbrava un cartellino orologio, segno ambivalente di schiavitù ma anche di garanzia.

Bruno ci lascia vedere quanto siano stati centrali per lui i legami familiari. Un albero di amore che parte dalla madre, passa dall’amata moglie, con cui celebra i 40 anni di matrimonio con la solita tenera ironia, ai figli e ai nipoti per i quali trabocca di orgoglio. Anche la politica irrompe dalla porta della famiglia, quando Bruno esprime in versi tutta la sua rabbia e il senso di ingiustizia per il pestaggio del figlio da parte dei fascisti. Molto toccante la descrizione del parto della figlia in cui coglie con acutezza l’angoscia che proviamo noi maschi in quel momento in cui siamo costretti ad assistere a bordo campo all’enormità e al dolore dell’evento della nascita di una nuova vita.

Leggendo il capitolo sulle cerimonie ci viene voglia di trovarci assieme a Bruno, il re delle feste, che non mancava mai di celebrare un matrimonio, un anniversario, una prima comunione, con simpatici versi in romanesco, “pijate per culo” che i destinatari avranno sicuramente apprezzato. Nel libro troviamo sei di queste perle, ma sappiamo dal figlio che ne ha scritte e donate tantissime ai parenti e agli amici, un peccato che siano andate disperse.

Il libro parla di questo e di molte altre cose. Quando ho finito di leggerlo ho immaginato Bruno attraversare il Secolo Breve, sorridente e mai scoraggiato, abbracciato fisicamente a familiari e amici, ma virtualmente a tutto quel popolo che chiamiamo umanità.

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