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Di Riccardo Piccolo
L’esercito israeliano ha lanciato lunedì 21 luglio la prima operazione di terra a Deir al-Balah, città situata nel centro della Striscia di Gaza che finora era stata colpita solo con bombardamenti aerei. La città, che ospita circa 100mila abitanti tra residenti originari e sfollati interni, rappresentava una delle poche zone relativamente risparmiate dalle operazioni militari terrestri israeliane. La decisione di entrare con i carri armati segna una svolta tattica, dato che l’intelligence israeliana riteneva che Hamas detenesse ostaggi nella zona. Domenica 20 luglio Israele ha ordinato l’evacuazione immediata della città.Nella stessa giornata almeno 94 palestinesi sono rimasti uccisi e oltre 200 feriti in operazioni condotte dalle forze israeliane durante la distribuzione di aiuti umanitari in diverse località del territorio.

Stando ai corrispondenti di Al Jazeera presenti sul posto, l’offensiva israeliana su Deir al-Balah è cominciata con l’ingresso dei carri armati nei quartieri residenziali di Abu al-Ajin e Hikr al-Jami, mentre i bombardamenti proseguivano da ore. L’operazione ha provocato l’esodo di circa 100 mila persone, molte delle quali già sfollate in precedenza da Rafah — devastata dalle offensive israeliane — e da Khan Younis, il principale centro urbano del sud della Striscia. Secondo il Times of Israel, l’obiettivo strategico dell’operazione sarebbe quello di aprire un terzo corridoio militare nel cuore di Gaza, completando così il controllo israeliano dopo i corridoi di Netzarim nel nord e di Morag nel sud.
Le persone costrette a lasciare Deir al-Balah vengono indirizzate verso al-Mawasi, la zona costiera nel sud della Striscia che Israele aveva indicato come “area umanitaria sicura”, ma che da mesi versa in condizioni di sovraffollamento estremo. Situata lungo la costa mediterranea, vicino a Rafah, al-Mawasi soffre di gravi carenze igieniche e di una cronica mancanza di acqua potabile e cibo. Per migliaia di famiglie, questa evacuazione rappresenta l’ennesimo trauma: molte sono già state costrette a spostarsi più volte dall’inizio della guerra, dieci mesi fa. A denunciarlo è Oxfam, che documenta il peggioramento continuo delle condizioni di vita degli sfollati.
Articolo pubblicato da wired.it